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Agar e Ismaele

Alessandro Cavazza (1824-1873) si forma all'Accademia di Belle Arti di Modena, tra il 1840 e il 1848, anni in cui l'ambiente artistico locale è dominato dalla figura di Adeodato Malatesta. Dopo aver soggiornato a Firenze e forse anche a Roma, negli anni Cinquanta si fa conoscere e apprezzare in ambito locale esponendo numerose opere alle triennali della Società d'Incoraggiamento per gli Artisti degli Stati Estensi.

Il modello in gesso raffigurante Agar e Ismaele nel deserto fu donato al museo Civico nel 1906. La corrispondente opera in marmo, di collocazione attualmente sconosciuta, nel 1872 si trovava nello studio dello scultore; lo stesso marmo, insieme ad altre opere di artisti modenesi, partecipò nel 1873 all'esposizione mondiale di Vienna.

Il gruppo, narrativamente concentrato sul momento in cui Agar regge tra le braccia il figlio Ismaele, ridotto in fin di vita dalla sete, ebbe successo per l'intensa resa espressiva del dolore, evidente soprattutto sul volto della madre, e per il virtuosismo compositivo, grazie al quale l'opera poteva essere apprezzata da differenti punti di vista. Ultima fatica dello scultore a un anno dalla morte, l'opera permette di cogliere lo sviluppo del lavoro artistico di Cavazza all'interno delle linee evolutive della cultura artistica modenese, caratterizzata nella seconda metà dell'Ottocento da un lento processo di rinnovamento del rapporto con il vero..

L'uso di modelli preparatori nella realizzazione di sculture in marmo o pietra, era già diffuso nella statuaria classica greca e romana. Dopo la parentesi medioevale, epoca in cui si tornò ad una lavorazione almeno in parte diretta del blocco, la prassi del modello preparatorio si affermò nuovamente in epoca rinascimentale e barocca, quando si perfezionò la tecnica del riporto delle misure e si diffuse l'uso di preparare, per una stessa opera, uno o più modelli disegnativi, un bozzetto in creta di piccole dimensioni, destinato ad ottenere l' approvazione del committente e infine il modello definitivo delle stesse dimensioni della scultura in marmo. Quest'ultimo, anch'esso generalmente in creta, doveva servire come punto di riferimento per l'esecuzione, affidata in parte ad artigiani abbozzatori. Nell'Ottocento si afferma la pratica di affidare all'artigiano abbozzatore non più il modello in terra, ma un calco in gesso di questo, pratica che presuppone un lavoro di traduzione nel marmo quasi interamente meccanico.

L'opera è stata restaurata nel 1998 da Dina Tacconi e Tiziano Quartieri grazie al contributo della signora Annalisa Roncaglia.