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Sezioni

Lettera Bignardi

Giacomo Bignardi

Cadetto matematico pioniere dal 1824 al 1829

Lettera allo zio Alfonso Domenico Bignardi, professore di Anatomia umana a Modena, 1832

Inchiostro su carta

Museo Civico di Modena

Raccolta del Risorgimento

(estratto)

 

Stimat.mo Sig. Gio.

A Paris, ad 27 d’April 1832

 

Riceverai il giorno 9 corrente la [?] in data del 26 Marzo. Io mi sarei occupato di ciò molto prima d’ora se non fossi stato impedito da una non piccola indisposizione che per qualche giorno mi ha tenuto obbligato al letto. Ma gli invio la presente con più piacere giacché ho il vantaggio di poterlo assicurare che io mi sono quasi del tutto ristabilito. Intanto per indicargli qualche cosa di ciò che ho passato, gli dirò che sono oggi 15 giorni da che andai con alcuni miei amici in campagna a vedere la chiesa di S. Denis e le tombe dei Re di Francia. Ritornato in città poco soddisfatto di quanto avevo veduto e contento solo dell’eseguita passeggiata, io fui assalito dopo alcune ore di riposo da una febbre non differente da altre due che mi vennero in Febbraio. Questa mi durò due giorni e poi non comparve più, e perciò io giudicai la cosa come una piccola effimera. Ma poco dopo mi giunse una dissenteria ed un incredibile affanno allo stomaco, per cui io temetti d’essere preso dal colera, che il più delle volte vuol finir colla morte! Oh quanto mi dispiacerebbe il dover lasciare le mie ossa qui in Francia! È vero che morendo a Parigi io sarei sepolto probabilmente al gran cimitero du Père-La Chaise ove trovasi Foy, Massena, Moliere, Fontaine, d’Alambert, Lagrange, ma questo vanto non arriva a soddisfarmi, e ringrazio il cielo per avermi dopo alcuni giorni levato anche da quel secondo incomodo. Nelle Feste di Pasqua io mi trovai sufficientemente bene, e potei quindi con alcuni amici passare in pace quei due giorni [solennizzandoli] alla modenese. Oh quante volte in quell’occasione ho ricordato l’ottimo mio sig. Zio Prof. , e tutta la mia cara famiglia! … Ma ritornando al  mio proposito gli dirò che ora non ho più nessun incomodo rimarcabile, ciò non ostante che io non sto bene del tutto, giacchè io pure partecipo, per la mia aliquota parte, della paura, della tristezza, e del malessere cui vanno soggetti nella crisi attuale tutti questi poveri Parigini.

Il Colera-morbus ha fatto a Parigi un quarto più grande di quello che si legge nei fogli. È l’unica circostanza in cui questi giornalisti siano buggiardi, per amore dell’umanità. Spero che egli avrà ricevuto una mia lettera scrittagli in data del 5 corrente, e nella quale io gli indicava il principio di questo flagello. Dopo quell’epoca questo popolaccio si è abbandonato a delle scene non differenti da quelle successe a Milano per causa degli untori. Ma di questo ne avrà già anche parlato la Voce della Verità. Più di 20 milla sono certamente i morti, e la strage continua ancora sebbene il male abbia diminuito d’energia. Il numero poi degli ammalati è assai grande, e tutti riconoscono in se un influsso di quella causa che conduce alla morte tanti infelici. La tristezza regna dappertutto, gli Scuolari, i Deputati […] ecc. sono stati inviati in vacanza. Più di 100 milla persone hanno abbandonato Parigi, ma io non so se abbiano fatto bene o male. Oh! Se l’affare fosse come la rivoluzione di luglio, si potrebbe fare il calcolo e quindi all’opportunità battere i tacchi, ma la cosa è molto diversa, e purtroppo è da dubitarsi che quando avrà abbandonato Parigi comparirà altrove, e chi sa come e quando. In quanto a me io credo che il migliore dei preservativi sia il vivere regolare, la nettezza, e la rassegnazione. Non v’è rimedio, ci siamo e bisogna essere disposti a tutto.

Rinaldo Bellolli e Mazzi gli fanno mille complimenti e lo ringraziano della memoria che ha di loro. Sono ora a Bercy, pochi passi fuori di Parigi, ove oltre i soccorsi del governo guadagnano 150 franchi il mese ed hanno tavolo ed alloggio. Creda che fortuna!

Anche Fanti e Martinelli dopo alcune raccomandazioni per Lyon sono stati impiegati sotto due capitani del Genio, che [direggono] le fortificazioni che si fanno nei contorni di quella città. Oltre i soccorsi del Governo, essi hanno 80 franchi il mese, e si trovano contenti assai, sebbene siano molto occupati.

In quattro mesi da che mi trovo a Parigi non ho potuto ancora trovare qualche posto onde migliorare  la mia posizione. L’attuale circostanza poi è sfavorevole affatto. Mi sono però procurato la conoscenza di alcuni ottimi signori. Tra i quali l’Eg. Prof. Arago, i quali all’opportunità hanno promesso di ricordarsi di me. Avrei potuto andare a Metz, ma dopo la notizia ricevuta  de’ miei due amici, io ho rinunciato ad un tale progetto, tanto più che se ivi si ritrova molto da imparare, non avvi niuna probabilità di guadagnare. Ho dunque [pensato] di raggiungere i miei due compagni a Lyon, ove con buone raccomandazioni ricevute qui a Parigi pero di trovar anch’io onde istruirmi e guadagnar qualche cosa. Stabilitomi poi a Lyon non mi moverò mai più di là se non ne sarò chiamato da qualche vista ben positiva di miglior interesse.

[…]

Intanto noi poveri gonzi dobbiamo prepararci a sopportare un lungo e triste esilio, riponendo il suo termine nelle eventualità imprevedute. Anche così s’impara. […]